“Luana (Raffaella Ponzo) è la catarsi femminile che si offre disinvoltamente e gratuitamente all’intellettualismo di Ernesto. Il corpo della giovane è opulento, voglioso e generoso: la sua nudità è quasi totale; Luana si pone come alter ego carnale alla spiritualità di Santa Teresa, ma allo stesso tempo porta con sé quella carica estatica propria della statua marmorea del Bernini. Sapiente amministratrice del suo corpo, la ragazza ha la sfrontatezza e la disinvoltura della giovinezza, portata talvolta all’eccesso; ma allo stesso tempo si avverte la purezza del suo animo e la semplicità del suo affetto per Ernesto”.
Il Corpo dell’anima
Italia, 1999
di Salvatore Piscicelli, con Roberto Herlitzka, Raffaella Ponzo, Ennio Fantastichini
recensione di Debora Fioretti
Dopo anni di silenzio, Salvatore Piscicelli torna al cinema con Il corpo dell’anima, una personale storia d’amore tra il misticismo di Santa Teresa e l’impeto carnale.
Ernesto (Roberto Herlitzka) è un intellettuale misantropo e rassegnato alla vita. Rimasto vedovo e solo nella grande casa nel centro di Roma, si occupa svogliatamente della stesura di una sceneggiatura sulla vita di Santa Teresa d’Avila. Ma la storia della Santa è solo un pretesto per arrivare al proprio io, per smascherare i propri desideri sessuali, per ironizzare sulla propria condizione di vecchio avvizzito, catapultato nell’inferno di volgarità e schiettezza di Luana.
Luana (Raffaella Ponzo) è la catarsi femminile che si offre disinvoltamente e gratuitamente all’intellettualismo di Ernesto.
Il corpo della giovane è opulento, voglioso e generoso: la sua nudità è quasi totale; Luana si pone come alter ego carnale alla spiritualità di Santa Teresa, ma allo stesso tempo porta con sé quella carica estatica propria della statua marmorea del Bernini.
Sapiente amministratrice del suo corpo, la ragazza ha la sfrontatezza e la disinvoltura della giovinezza, portata talvolta all’eccesso; ma allo stesso tempo si avverte la purezza del suo animo e la semplicità del suo affetto per Ernesto.
L’uomo compie un viaggio alla ricerca di se stesso, si degrada. Ritrova l’equilibrio attraverso l’umiliazione e la privazione, verso un finale lucido e misurato.
La Roma di Piscicelli si snoda tra la naturale cornice di Villa Borghese e le chiese barocche. C’è il verticalismo drammatico del Borromini, l’estasi carnale del Bernini e il “Barocco gelido” di Cesare Brandi, presso il quale Piscicelli si è formato.
La ricerca del regista inizia con una citazione del saggista franco-rumeno Cioran: “Tutto ciò che non si può tradurre in termini di misticismo non vale la pena di essere vissuto”, fornendo una chiara chiave di lettura.
L’esperienza mistica offre la possibilità di uscire dal proprio io, per trovare una nuova dimensione. “Per arrivare ad un rapporto più sereno con la vita – ha affermato il regista in un incontro a Roma, presso la libreria Bibli – bisogna trasformare l’energia primaria, incanalarla, per una perfetta conciliazione con il mondo“. E Piscicelli trova nel sesso un’espressione primaria di vitalità naturale, che se vissuta pienamente, può portare ad una realtà nuova e ad una diversa visione dell’io.
Ernesto guarisce dalla sua senilità e abbraccia un nuovo rapporto con la vita. Il film si articola su due livelli: la storia vera e propria e il racconto interiore dell’uomo, che commenta tutto ciò che accade tra sé e sé, in conflitto tra l’agire ed il pensare.
Il corpo dell’anima nasce da un racconto dello stesso autore che in questi anni di assenza dal cinema ha affermato di aver scritto molto e di aver più semplicemente vissuto. Sceneggiato con Carla Apuzzo, fedele collaboratrice, nonché compagna sia nella vita che nel lavoro, sin dalla realizzazione nel 1979 di Immacolata e Concetta, il film segue il ritorno di un regista “marginale” lontano dalle grandi produzione italiane.
Piscicelli ha affermato di aver sempre cercato di conciliare le libertà produttive e le esigenze di mercato.
Immacolata e Concetta, dopo i problemi avuti con la Titanus, fu distribuito nelle sale; miglior fortuna ebbe Le occasioni di Rosa (1981) illuminato dalle grazie di Marina Suma, e presentato al Festival di Venezia.
E’ stato Baby Gang agli inizi degli anni ’90 a segnare l’arresto del percorso cinematografico del regista napoletano: il film non fu distribuito nelle sale.
Il ritorno con Il corpo dell’anima è sicuramente frutto di anni di letture e riflessioni sul Buddismo, sul cinema come “trasparenza dello sguardo” lontano dalle mode digitali o dalle facili volgarità.
Francamente ci è sembrato eccessivo il divieto posto ai minori di 18 anni per la visione del film: indubbiamente hanno un forte impatto visivo la sessualità disinibita di Luana, le sue sguaiate richieste e il suo sesso lesbico, ma Piscicelli purifica le immagini dalla volgarità più bieca e popolare di certo cinema italiano, per mostrarci l’energia e la forza di un corpo nudo.
Nella carnalità di Luana c’è il percorso di discesa e ascesa di Ernesto che ritrova il suo equilibrio passeggiando lentamente con il suo bastone verso l’arte del Museo Borghese.
E forse è proprio il corpo di Luana ad offrire un’anima ad Ernesto, per ritrovare quell’energia sopita verso una vecchiaia serena.