LA REPUBBLICA – Salvatore Piscicelli sperimenta la miscela di racconto morale e mélo
“C’è qualche ironia nel fatto che Raffaella Ponzo, la brava, simpatica Luana, così naturale sotto la crosta del trucco da ragazzaccia, così disinibita, sia nella vita una giovane studiosa di antropologia. Avrà preso il film come una ricerca sui costumi sessuali degli anziani nella società borghese?”.
Irene Bignardi per “La Repubblica”
E l’eros d’autore
diventa sentimentale
di IRENE BIGNARDI
Come molte cose legate al sesso (altrui), Il corpo dell’anima, il film con cui Salvatore Piscicelli ritorna dopo sette anni di silenzio, può, in alternativa, incuriosire, dare fastidio o fare sorridere. Per merito di Roberto Herlitzka e della sua voce off, che crea nel racconto una distanza ironica e straniata, prevale la curiosità. Curiosità per uno strano esperimento di “erotico freddo”, in cui Piscicelli miscela racconto morale e mélo, stile e goffaggini (soprattutto nelle discussioni intellettuali).
Curiosità nei confronti di un cinema eroticamente esplicito che non eccita mai (credo) per la sua malinconia di fondo. Curiosità per una storia fondata sulla bizzarra, ma non peregrina contrapposizione di due idee di estasi: quelle mistiche di Santa Teresa d’Avila – su cui il protagonista, vecchio sceneggiatore solitario, sta pensando di scrivere un film – e quelle prodotte da Luana, la ragazzotta volgare e a modo suo profondamente onesta, che gli entra in casa, ridà linfa alla sua vita, scardina una noiosa normalità.
C’è qualche ironia nel fatto che Raffaella Ponzo, la brava, simpatica Luana, così naturale sotto la crosta del trucco da ragazzaccia, così disinibita (tutto l’eros, assai esplicito e spesso buffo, è a carico suo, su Herlitzka la cinepresa di Saverio Guarna sfuma, dissolve, passa alle reazioni più che alle azioni), sia nella vita una giovane studiosa di antropologia. Avrà preso il film come una ricerca sui costumi sessuali degli anziani nella società borghese? Sappia che quel (relativamente) lieto fine non è realistico.
Piscicelli cita, tra i prototipi di questa storia d’amore su un vecchio che ama una donna giovane, Luci della ribalta e Tristana. Eppure chi vedrà Il corpo dell’anima (poco adatto per i pudibondi, e per chi non ha un po’ di curiosità cinefila e/o senso dell’umorismo) ritroverà una scena che sembra ripresa dritta dritta da Lolita: quando, passata la bufera erotica, Ernesto incontra Luana, “la mia Luana”, per strada, bruttina, sciupata, con un bambino appresso. L’eros d’autore è diventato sentimentale: gli oggetti del desiderio cambiano e invecchiano, ma l’amore no.
(26 maggio 1999)