Nel paesaggio notturno romano un gruppo di amiche in conflitto con i genitori
«Quartetto» di Salvatore Piscicelli: «Ho girato secondo le regole del Dogma ’95»
di Emilia Costantini
In un paesaggio notturno romano è ambientato il nuovo film di Salvatore Piscicelli, “Quartetto”, che esce oggi a Roma e Milano, per poi essere distribuito nelle altre sale italiane. Quattro giovani donne, tra ‘ 23 e i 27 anni, perennemente sull’orlo di una crisi di nervi, ognuna con il proprio fardello personale di illusioni, sogni, desideri amorosi, prospettive di lavoro, dolori familiari. Un’emancipazione femminile dell’ultima generazione, con tutti i risvolti positivi e soprattutto negativi che ne conseguono in quanto disordine mentale, confusione e disperata solitudine, vivisezionata, studiata al microscopio, spiata. Si ha proprio, infatti, l’impressione che le vicende umane e sentimentali delle protagoniste siano spiate dalla telecamera digitale con cui è girato il film, prodotto da Paola Ermini per la Lantia Cinema e interpretato da Anna ammirati (l’ex “monella” di Tinto Brass), Beatrice Fazi, Maddalena Maggi e Raffaella Ponzo. Del cast fanno parte anche Francesco Venditti, Ida Di Benedetto, Roberto Herlitzka, Susanna Marcomeni e Armando De Razza. Eva, Angelica, Francesca e Irma sono molto diverse tra loro, ma accomunate da una profonda amicizia e da una sorta di leitmotiv che riguarda le loro relazioni con i genitori: tutte e quattro sono cresciute senza una figura paterna forte e con un rapporto conflittuale con le rispettive madri. Apparentemente libere e indipendenti (vivono da sole e si mantengono con il proprio lavoro), sono in realtà incatenate, per motivi differenti, a un passato e a un presente di scelte e di affetti sbagliati che le opprime. Tutto comincia con il tentato suicidio di una di loro, durante la festa di Capodanno del 2001. Tutto finisce con il suicidio realizzato dell’aspirante suicida. Spiega Piscicelli, che sperimenta per la prima volta il “Dogma ’95”, ovvero il decalogo delle regole inventato dai cineasti danesi più “trendy”: «Non pretendevo di raccontare una generazione, ma volevo osservare da vicino le vite, i comportamenti, gli atteggiamenti di queste giovani donne, facendolo dal mio punto di vista, che è poi quello dei loro padri. Ho voluto descrivere il disagio di queste ragazze, che devono sopportare anche l’inadeguatezza dei loro genitori. Non ho voluto giudicare, ma solo filmare il malessere di questo mondo femminile: io appartengo ingatti a una generazione che ha sognato di creare un mondo migliore, ma ha poi consegnato ai figli un mondo peggiore». Quanto poi alle regole dettate dal “Dogma”, il regista, che sta preparando un thriller noir su Napoli, aggiunge: «Ho voluto sperimentare questo nuovo modo di fare cinema e capirne le possibilità. Il tentativo è stato quello di infrangere lo spazio del cinema classico, un po’ come fece il cubismo per la pittura. E’ stata una provocazione – avverte – anche se qualche regola l’ho trasgredita».